Quando si prende in affitto un’abitazione, tra gli obblighi che figurano all’interno del contratto di locazione vi è il versamento, da parte del conduttore dell’immobile, di un determinato corrispettivo al locatore in cambio del godimento del bene.
Si tratta del cosiddetto canone di locazione che viene versato solitamente in rate periodiche (a scadenza mensile, trimestrale, semestrale o così via) nell’importo pattuito al momento della stipulazione del contratto. In sostanza, dunque, l’importo da versare è quello previsto all’interno del contratto.
In vista di contestazioni che sorgono tra le parti, molti inquilini o affittuari si chiedono, però, se sia legittima una rideterminazione di tale corrispettivo in aumento nel corso del tempo, durante la vigenza del contratto stesso e dunque effettuate dopo la stipula.
Contratti locazione a uso abitativo
Nei tradizionali contratti di locazione riguardanti abitazioni, la possibilità di una variazione in aumento del corrispettivo “in itinere”, durante la vigenza del contratto, non appare possibile, sia in caso di canone “libero”, quindi pattuito dalle parti, sia in caso di canone concordato, dunque stabilito in base a convenzioni territoriali.
In tali casi, un aumento del canone non è possibile in itinere, ma solo alla scadenza, oppure risolvendo il prevedente contratto e stipulando un nuovo accordo ex novo. Tuttavia, sarà sempre necessario rispettare le regole dettate dalla legge in relazione alla durata dei contratti.
Contratti a canone libero
I contratti di locazione a uso abitativo di cui si occupa la legge n. 431/1998 sono quelli c.d. 4+4, ovvero di durata non inferiore a 4 anni che, alla scadenza, si rinnovano automaticamente per altri 4 anni salvo disdetta dell’inquilino o del locatore.
Quest’ultimo potrà avvalersi della facoltà di diniego di rinnovo preavvisando il conduttore e solo per una serie di motivi previsti dall’art. 3, comma 1, della legge n. 431. Alla seconda scadenza del contratto, dunque dopo 8 anni, è consentito a ciascuna delle parti di rinnovare il contratto a nuove condizioni oppure di rinunciare al rinnovo dello stesso.
In entrambi i casi sarà necessaria una comunicazione da inviare, tramite raccomandata, almeno 6 mesi prima delle scadenza oppure, in caso contrario, il contratto sarò tacitamente rinnovato alle stesse condizioni (quindi altri 4+4 anni).
Non sembra, dunque, essere ammessa una variazione in itinere delle condizioni contrattuali, neppure alla prima scadenza. Solo a partire dalla seconda scadenza, invece, le parti potranno rimettere mano al contratto e sarà consentito al locatore ritoccare l’importo del canone presentando le nuove condizioni all’affittuario tramite raccomandata.
Contratti a canone concordato
La legge consente anche di stipulare contratti di locazione per immobili a uso abitativi sfruttando il c.d. canone concordato, ovvero in base ad accordi territoriali vigenti e definiti in sede locale tra le associazioni dei proprietari e dei conduttori maggiormente.
In tal caso, la formula è quella del 3+2, ovvero tre anni con possibilità di rinnovo per altri due (salvo i contratti di durata transitoria). Anche qui, il rinnovo a nuove condizioni, con possibilità dunque di intervenire sull’importo del canone, è ammesso solo alla scadenza del periodo di proroga biennale, previa comunicazione tramite lettera raccomandata da inviare all’altro contraente almeno sei mesi prima della scadenza.
Immobili per uso diverso da quello abitativo
Per i contratti di locazione di immobili a uso diverso da quello abitativo, la legge sull’equo canone (L. n. 392/1978) prevede la possibilità che il canone subisca variazioni. Da un lato, le parti potranno convenire l’aggiornamento annuale del canone in base alle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. In tal caso, le variazioni non potranno essere superiori al 75% di quelle accertate dall’ISTAT.
Dall’altro, si ritiene ammissibile in tal caso il c.d. canone “a scaletta”, ovvero crescente nel corso degli anni. La legittimità di tale pratica è stata recentemente confermata dalla sentenza n. 23986/2019 della Corte di Cassazione che, ponendo l’accento sulla clausola generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, ha ritenuto legittima la clausola in cui venga pattuita l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto.
Tuttavia, tale clausola si ritiene illegittima qualora il suo scopo sia unicamente quello di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, in elusione dei limiti posti dall’art. 32 della L. n. 392/1978.
La nullità prevista dalla legge sull’equo canone
All’art. 79, la legge sull’equo canone prevede espressamente la nullità di ogni pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello dovuto rispetto alla normativa di cui delle norme previste dalla medesima legge n. 392/1978.
Una conclusione avallata dalla giurisprudenza maggioritaria della Corte di Cassazione secondo cui, in tema di locazione di immobili adibiti a uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente a oggetto veri e propri aumenti del canone e non l’aggiornamento del corrispettivo deve ritenersi nulla in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello previsto dalla norma, senza che il conduttore possa rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti.
Il diritto del conduttore a non erogare somme che eccedono il canone legalmente dovuto sorge al momento della conclusione del contratto e può essere fatto valere dopo la riconsegna dell’immobile entro il termine di decadenza di sei mesi.